sabato 9 gennaio 2010

Egregio Ministro
Angelino Alfano

Egregio Ministro
Roberto Maroni

Egregio Ministro
Ignazio La Russa

Egregio Onorevole
Ignazio Marino


Sono Ilaria Cucchi, la sorella di Stefano Cucchi.

Ho letto con attenzione la relazione dell’inchiesta amministrativa del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria sul decesso di mio fratello.
Gli esiti di questa lunga relazione sono a mio avviso sconcertanti.
Da sorella, madre, nonché cittadina di questo Paese, mi pongo queste domande che ritengo di condividere con Voi.

È risultato che al momento in cui mio fratello è stato arrestato vigeva la prassi per cui gli agenti di polizia penitenziaria, pur riscontando segni di lesioni evidenti sugli arrestati che arrivavano presso le celle di sicurezza del Tribunale di Roma, non si interessavano a tali lesioni e non chiedevano immediatamente l’intervento di un medico, ma lo facevano eventualmente solo al momento della presa in consegna da parte loro dell’arrestato.
Perché fra le nostre forze dell’ordine questa condotta così comune, così radicata e così ben codificata?
Mi sconcerta quello che dice un agente di polizia ascoltato nel corso dell’inchiesta : “mi limitavo a chiedere informazioni anche perché non è facile lavorare con le altre forze di polizia”; lo stesso agente specifica: “questo significa che non intendevo approfondire la natura delle lesioni che constatavo perché l’arrestato era nella diretta responsabilità dei colleghi”; e poi ancora: “assumevo atteggiamento differente solo quando ritenevo che con la consegna dell’arrestato dovevo tutelarmi per eventuali questioni che potevano insorgere”.
Perché questo atteggiamento di non chiedere e non approfondire le cause delle lesioni degli arrestati? Cosa significa che “non è facile lavorare con le altre forze dell’ordine”?
Quale verità ricorrente di cui è meglio “non impicciarsi” si cela dietro a queste non domande, a questo codificato disinteresse, a questa voluta indifferenza? Perché tutto questo “pudore” nell’approfondire la natura delle lesioni delle persone arrestate da parte delle altre forze di polizia?
Perché l’intervento di un medico viene chiesto solo per tutelare l’agente cha ha in consegna l’arrestato e per salvarlo da eventuali questioni che lo possano coinvolgere personalmente?
Perché - ci dice lo stesso agente citato sopra – solo oggi, “dopo i fatti in contestazione”, “approfondisco la natura delle lesioni…fin dal momento dell’arrivo degli arrestati presso il reparto”?
Mi domando: qual è l’esigenza primaria degli agenti di polizia con questa nuova prassi dopo la morte di mio fratello? È davvero superata la volontà e la mentalità delle forze dell’ordine di tutelare ancora e solo se stessi di fronte al disagio delle persone che hanno in custodia?
Perché vale così poco lo stato di salute di un arrestato?
Perché valeva così poco lo stato di salute di mio fratello?

Ho letto nelle testimonianze degli agenti sentiti tutta l’indifferenza e la superficialità rispetto alla sofferenza che mio fratello manifestava mentre era in Tribunale e al successivo ingresso in carcere: perché tutti gli agenti si accorgono che sta male, tutti si rendono conto che le sue risposte sull’origine delle lesioni sono evasive o improbabili, tutti si rendono conto che Stefano ha quantomeno pudore a parlarne, ma tutti si limitano solo a “sdrammatizzare”?
Mio fratello Stefano è arrivato ad affermare di fronte a due agenti che lo hanno condotto in ospedale che “i tutori dello Stato invece di garantire la tutela ai cittadini, gli avevano fatto questo”, intendendo le lesioni che aveva riportato, e ha aggiunto che “non ce l’aveva con loro, ma che voleva parlare con il suo avvocato e avrebbe messo tutto in chiaro”.
Sapete cosa ha fatto uno dei due agenti? “Da quel momento non ho più parlato con il Cucchi, ho preso le distanze pensando che ognuno doveva rimanere al suo posto”.
Perché questo atteggiamento, dichiarato candidamente come fosse il migliore possibile?
Perché nessuno degli appartenenti alle forze dell’ordine si è preoccupato di tranquillizzare mio fratello, di spiegargli che in questo paese moderno e civile egli avrebbe potuto denunciare chi gli aveva fatto del male, che la denuncia era un suo diritto ed era anche un loro dovere come pubblici ufficiali, che lui non avrebbe dovuto temere in alcun modo le conseguenze del racconto della verità?
Perché, poi, tanti agenti sentono mio fratello fare riferimento al “suo avvocato” con cui voleva assolutamente parlare, ma alla fine a Stefano viene assegnato un difensore d’ufficio?
Guarda caso nel verbale con cui mio fratello è stato consegnato dai Carabinieri alla Polizia Penitenziaria, firmato alle ore 13.30 del 16 ottobre, si indica come avvocato, anche se d’ufficio e non di fiducia, l’Avv. Stefano Maranella che all’epoca era effettivamente il legale della nostra famiglia: perché se Stefano aveva esattamente indicato il nome e il cognome dell’avvocato da cui voleva essere assistito non è mai risultata questa nomina di fiducia? Perché nessuno durante il suo ricovero al Pertini ha fatto in modo che Stefano riuscisse a parlare con il suo difensore, oppure lo ha aiutato – lui sofferente e immobilizzato a letto - a realizzare questa sua volontà?
Perché valevano così poco le esigenze, le volontà e i diritti di mio fratello?
Forse perché era un tossicodipendente?

Altre cose emerse dalla relazione mi lasciano sconvolta.

Perché durante la notte trascorsa nelle celle di sicurezza di Tor Sapienza, quando poco dopo le 5 è stata chiamata l’ambulanza, i Carabinieri non chiariscono i motivi della richiesta del soccorso sanitario né i sanitari chiedono spiegazioni ai Carabinieri, accontentandosi del riferimento ad un generico “lamentarsi” di Stefano?
È normale questa superficialità nell’approccio sanitario per gli arrestati nelle celle di sicurezza?
È normale che una cella di sicurezza, oltre ad essere di ridottissime dimensioni tali da entrarvi solo uno alla volta come riferito dai sanitari, sia anche al buio, illuminata solo dalla luce del corridoio?

E poi il trattamento al Pertini.
La relazione su questo aspetto delinea un quadro incredibile; ben otto i rimproveri del DAP:
non è stato previsto nessun servizio di accoglienza
non è stato favorito il rapporto con la famiglia
non è stato favorito il contatto con il difensore
non sono stati favoriti i contatti con la comunità terapeutica
sono state aggravate le procedure per il diritto ai colloqui e alle informazioni sanitarie ai parenti, con indicazioni errate e affisse in avvisi
è mancata ogni comunicazione con la famiglia del ristretto, anche sulla notizia del decesso;
è mancato ogni correttivo alla evidente incapacità di dare rapida e corretta attuazione al procedimento autorizzativo dell’incontro medici - parenti;
è mancata ogni forma di coordinamento con le regole penitenziarie e dell’accoglienza, e ogni genere di verifica ispettiva sul reparto.
Quante persone all’interno del Pertini si sono accorte dello stato di disagio non solo fisico ma anche psicologico di Stefano? Quante persone si sono accorte del travaglio dei genitori?
Perché in sei giorni di ricovero Stefano non è stato cambiato nemmeno una volta, sebbene il personale avesse ritirato la biancheria portata da sua madre?
Lo stato di disagio di Stefano era “normale” e non degno di attenzione perché “era un tossicodipendente”?
Perché ben quattro medici del Pertini, convocati a rendere dichiarazioni nell’ambito dell’inchiesta del DAP, non si sono nemmeno presentati?
È normale questo clima di disinteresse e indifferenza in chi opera in una struttura come il Pertini?

Io non voglio in alcun modo sottovalutare la difficoltà del compito delle forze dell’ordine che so essere delicato e complesso, ma non posso non manifestare tutta la mia indignazione perché la dannata “normalità” delle lesioni sulle persone arrestate, la dannata “normalità” di non interessarsi a tali lesioni finché non diventa “affar proprio”, la dannata “normalità” del disagio di una persona tossicodipendente in stato di restrizione, è una “normalità” che, quando viene percepita sistematicamente come tale, porta inevitabilmente ad una disumana, indegna e degradante indifferenza da parte di chi opera con le persone in stato di restrizione.
Un’ indifferenza che uccide: di morte altrettanto disumana, indegna e degradante, come quella che ha subito il mio amato fratello.
Un’indifferenza che non è degna di un Paese civile, e a cui non deve essere permesso di poter permeare nelle condotte quotidiane dei dipendenti delle nostre Istituzioni.

E allora, da sorella, madre e cittadina, Vi chiedo di intervenire affinché questa “normalità” non venga più tollerata, affinché non venga dimenticato ciò che è successo a mio fratello e affinché non si aspetti nell’inerzia la prossima morte indegna che una famiglia distrutta sarà costretta ad urlare a tutto il Paese.

Con fiducia e rispetto.

Ilaria Cucchi

11 commenti:

  1. Gentile Ilaria, Stefano è stato fortunato ad averla come sorella. E' grazie a lei, se, seppur lentamente, qualcosa si muove. Non mi fraintenda: la procura sta facendo il suo lavoro e credo con piena coscienza. Ma sono inchieste difficili perchè è difficile chiedere al braccio operativo di indagare su se stesso. Il muro di omertà da lei evidenziato nella lettera alle nostre cariche istituzionali, era scontato. E allora, intanto, che ci sia un segnale politico prima che giudiziario. Che ci sia un segnale che elimini il muro di omertà. Che ribadisca legalità e diritti. Di tutti. Seguo il blog giornalmente in attesa di aggiornamenti che cerco comunque in rete. Voglio dirle che, qualora abbiate bisogno di denaro per le spese legali e lanciaste una sottoscrizione, io ci sono. La sua presenza su questo triste e drammatico evento mi fa pensare e sperare che non solo sarà possibile (spero) ottenere giustizia per Stefano, ma modificare qualcosa all'interno delle forze dell'ordine, ovvero modificare quelle anomalie che sono responsabili della morte di Stefano.

    Con stima

    andrea

    RispondiElimina
  2. Purtroppo siamo una democrazia anomala. Molto anomala. Io penso, e scusami per quello che sto per scrivere, che le tue parole non verranno nemmeno lette da coloro ai quali questo post è indirizzato. Spero di sbagliarmi perchè voi come tutti i cittadini che hanno dignità meritate di sapere la verità e che venga fatta realmente giustizia.

    RispondiElimina
  3. http://blog.libero.it/manuelEliantonio/
    Cara Ilaria,da quasi 18 mesi attendo risposte sull'OMICIDIO in carcere di mio figlio Manuel.
    Poco importa a questa società "civile"della vita tolta barbaramente,a un ragazzo,appena 22 enne.
    Sentite condoglianze.
    Maria Eliantonio

    RispondiElimina
  4. Cara Ilaria,
    mi chiamo Mita e scrivo da Perugia.
    Mi permetto di scriverLe qui pubblicamente perchè non ho un suo recapito privato.
    Un mio amico ergastolano ostativo detenuto nel carcere di Spoleto è rimasto molto colpito dalla tragica morte di Stefano e ha scritto una cosa e ci terrebbe a farla avere a Lei e alla sua famiglia se questo vi può far piacere.
    Le lascio il mio indirizzo mail nel caso voglia contattarmi, mi scuso se questo mio messaggio è parso invadente, non era mia intenzione.
    Le esprimo le mie più sentite condoglianze.

    Mita
    shabbat@tin.it

    RispondiElimina
  5. Gentile Ilaria,
    mi chiamo Paola Rosà, sono giornalista professionista e autrice di un libro sui movimenti pacifisti che contribuirono al crollo del Muro di Berlino. In occasione della presentazione del volume a Brescia in compagnia del pastore della chiesa di San Nicola a Lipsia è stato lanciato un appello per denunciare la situazione delle carceri italiane e per chiedere verità e giustizia per le troppe morti sotto "custodia" delle forze dell'ordine.
    Il pastore Christian Führer, protagonista nel 1989 delle famigerate "preghiere per la pace" in cui dissidenti, pacifisti e attivisti dei diritti umani potevano esprimersi e contestare il regime della DDR, è rimasto colpito dal racconto di un ragazzo, che ha parlato della sua indignazione per quanto accaduto a Stefano.
    Volevo solo segnalare che lunedì prossimo, 18 gennaio, a Lipsia, nella Nikolaikirche (ormai famosa come la chiesa della rivoluzione pacifica), si terrà una preghiera per la pace in cui si ricorderanno le tante violazioni dei diritti umani compiute nelle carceri italiane.
    Come negli Anni Ottanta si protestava contro il regime e si pregava per i detenuti della polizia politica della Germania dell'Est, così nel 2010 in Germania ci si muove per la discutibile e terribile situazione dei diritti umani in Italia.
    Non è molto, ma è significativo che crollato il Muro di Berlino ci si debba ancora impegnare contro il muro dell'indifferenza, per chiedere verità su quanto accade dietro le mura impenetrabili delle carceri.
    Tanti carissimi auguri,
    siamo in molti a non smettere di fare domande.
    Grazie per il Vostro impegno,
    cordialmente,
    Paola Rosà
    autrice di "Lipsia 1989. Nonviolenti contro il Muro", postfazione Gian Enrico Rusconi (ed. Il Margine, Trento)

    RispondiElimina
  6. Cara Ilaria,

    ti scrivo da Parigi, dove sto' facendo uno stage all' Osservatoire International des Prison, un'associazione indipendente che agisce e si batte per la difesa dei diritti e delle libertà indivduali di tutte le persone detenute in Francia.
    La morte di Stefano mi ha colpito molto, cosi' ne ho diffuso la notizia a tutti i miei colleghi, a tutti gli amici francesi.
    Mi é sembrato un piccolo gesto doveroso per mantenere viva la memoria di Stefano, per aumentare il numero di coloro che chiedono insieme a te e alla tua famiglia verità e giustizia, perché é inaccetabile e indegno che ancora oggi si possa morire atrocemente di carcere.
    Sono vicino a te e alla tua famiglia e se posso essere in qualche modo d'aiuto non esitare a contattarmi.
    Con stima,

    Manuel

    RispondiElimina
  7. Gentile signora Ilaria Cucchi,

    Le scrivo a nome del Gruppo Kos,l'associazione dei rappresentanti degli studenti di Medicina e Chirurgia dell'Università di Pavia.
    Stiamo seguendo, da tempo e con partecipazione, le vicende legate a suo fratello Stefano.
    Stiamo organizzando un ciclo di incontri, chiamato "Fuori Luogo", che si propone di approfondire i temi della povertà e dell'esclusione sociale vissuti sulla strada e nel carcere.
    In particolare, per quanto riguarda il carcere, il nostro proposito è di organizzare due serate: nella prima, ci proponiamo di descrivere la realtà del carcere attraverso i suoi protagonisti. Abbiamo contattato l'Associazione Antigone, il cappellano della casa circondoriale di Pavia, un medico del carcere, un detenuto autore di poesie.
    Nella seconda serata, vorremmo raccontare l'attualità del carcere. Le chiediamo di raccontare quanto è accaduto a suo fratello Stafano l'ottobre scorso. Pensiamo inoltre di contattare l'onorevole Bernardini, per discutere del piano di ampliamento delle carceri proposto dal ministro Alfano.
    Questi incontri sono previsti per la seconda metà del mese di aprile, in funzione della sua disponiilità. Disponiamo di un fondo spese per assicurare i costi della trasferta.

    Cordiali saluti,
    Elia Rigamonti.

    RispondiElimina
  8. Ciao Ilaria, ( mi permetto di darti del tu ) sono giorgio Cella del Meetup di Beppe Grillo di Udine, stiamo organizzando una conferenza sul tema delle carceri a cui parteciperanno Don Gallo, Corleone ( del forum droghe ) ed altre persone, la tua presenza sarebbe per noi davvero importante, ti prego di contattarmi attraverso la mia mail ( cellagiorgio1@gmail.com ) così potrò spiegarti meglio cosa stiamo approntando
    ciao e grazie in anticipo
    giorgio

    RispondiElimina
  9. Vorrei tanto essere ottimista per la vostra famiglia, perché vi sia data giustizia in tempi ragionevoli.
    Spesso cerco di immedesimarmi nel dolore altrui per capire ciò che si prova, perché penso che poteva capitare a chiunque, purtroppo.
    Quando si nasce ci si "sporca" inevitabilmente, si viene a contatto con tutto il male e con tutto il bene di questo mondo.
    Scusami. Si perde fiducia in tutto, nessuno capisce le cose più elementari della vita. Anzi, ti tolgono anche la gioia di vivere.
    Sembra che non ci sia altro destino per noi umani che lottare sempre contro tutto e tutti.
    E' tutto già difficile ma sembra che lo facciano a posta a renderci ancora tutto più complicato.
    Non ti dirò che la vita è un bene in sé perché non ci credo - ti auguro solo di avere giustizia.
    Credo e sono convinto però di una cosa; se non saranno i tribunali della legge a giudicare questi signori, stanne pur certa che essi prima o poi verranno giudicati dai tribunali della storia. E questo vale un po' per tutti coloro hanno sacrificato le nostre vite sull'altare di queste false democrazie.
    Vi faccio tanti tanti auguri. Spero con voi.

    Vito M.

    RispondiElimina
  10. GIUSTIZIA IN ITALIA


    Stefano Cucchi è morto mentre era nelle mani dello Stato.
    E' morto in modo disumano picchiato da chi doveva avere cura di lui,
    in attesa che il tribunale giudicasse la gravità dei suoi reati.
    E' morto perchè qualcuno ha pensato che un piccolo spacciatore e tossicomane
    non meritasse alcun rispetto, nè psicologico, nè fisico.

    Nessuno invece si sognerebbe mai di trattare alla stessa stregua
    chi corrompe giudici, avvocati, paga tangenti, ricicla denaro di dubbia provenienza
    e abusa del suo potere per mantenere ed estendere il potere suo e di pochi.
    Chi commette reati finanziari, chi evade il fisco, chi specula, chi concede cariche pubbliche in cambio di favori,
    chi effettua licenziamenti di massa, chi sfrutta i lavoratori, chi non applica le norme sulla sicurezza sul lavoro,
    chi concepisce e approva leggi che permettono questo e altre che concedono più privilegi ai potenti.

    Non c'è giustizia in un paese dove bisogna convivere tutti i giorni con questo paradosso.
    A chi ha poco viene tolto ancora di più, a chi possiede molto viene dato ancora.
    Chi non è nessuno, dunque, deve continuare a vivere nella paura?
    Nella paura che la sorte di Stefano Chucchi tocchi anche a lui?
    O presto arriverà il momento in cui saranno i potenti e i corruttori a dover aver paura?

    I “nessuno”' sono milioni, i privilegiati pochi, eppure riescono a mantenere il Potere.
    Questo perchè siamo noi a volerlo e lo permettiamo prima di tutto attraverso gli strumenti della democrazia.
    I signori che ci governano li scegliamo Noi e a Noi devono rispondere del loro operato.
    Per questo il potere giudiziario è indipendente dall'esecutivo e dal legislativo,
    per questo esiste la stampa libera e indipendente.
    Se questi signori non operano bene non vanno più scelti.
    Se commettono reati vanno giudicati e condannati.
    A Stefano Cucchi, ultimo degli ultimi, questa possibilità non è stata concessa.
    Lo Stato rifletta seriamente se è questa è Giustizia.


    Davide D'Andria

    RispondiElimina
  11. Ma hanno fatto qualcosa dopo questa tua lettera?

    RispondiElimina