martedì 8 novembre 2011

Vivo sulla mia pelle le ipocrisie di un processo, il processo per la morte di mio fratello, Stefano Cucchi. Un processo che non doveva nemmeno esserci, se non ci fosse stato Fabio Anselmo. Un processo nel quale vedo avvocati pavoneggiarsi facendo il 'processo' a mio fratello e restando sempre ben lontani dalla realtà. Un processo nel quale sarei sola, contro tutto e tutti, se non ci fosse Fabio Anselmo. A lottare al mio fianco, cosa che a noi normali cittadini sembrerebbe scontata, ma che non lo è affatto. Purtroppo. E chi lo fa molto spesso ne risponde in prima persona, con attacchi continui, perché è visto come una minaccia ai controsensi della nostra giustizia. Che giustizia non è quasi mai, o almeno non lo è per tutti. Così sarebbe per la mia famiglia, se non esistesse Fabio Anselmo. Di una cosa sono certa. Su Fabio potranno sputare veleno finché vogliono, ma non lo fermeranno dal difendere la verità. Perché nella verità lui crede.

mercoledì 28 settembre 2011

Noi non apparteniamo a partiti, noi non siamo dei politici, noi siamo persone normali, siamo madri sorelle figlie
Impiegate operaie libere professioniste casalinghe, e abbiamo dovuto subire la tragedia di dover fare i conti con la giustizia italiana.

Questa giustizia guarda solo i ricchi e i potenti

Questa giustizia ignora in modo imbarazzante i diritti delle vittime dei reati e li calpesta

Questa giustizia processa più facilmente le vittime e i familiari di stato piuttosto che i loro carnefici

Siamo stanche di sentirci dire che la Legge è uguale per tutti quando non è assolutamente vero

Siamo stanche di sentir parlare di riforma della giustizia e di processi brevi processi lunghi legge bavaglio e questa legge sulle intercettazioni

Questi sono problemi dei politici, non nostri

Di giustizia si muore e i processi sono insostenibili tanto per le vittime del reato quanto per imputati non in possesso di risorse adeguate

Noi chiediamo a tutte le vittime dei reati di Stato, o comunque di Potere, alle vittime della giustizia italiana, di protestare con noi perché le intercettazioni vengano salvaguardate, le leggi bavaglio cassate,
e i politici si occupino dei problemi di giustizia della gente e non dei loro personali.

Le intercettazioni sono un problema dei potenti, non della gente per bene.

Non si fa giustizia nel modo riservato a me, a ilaria cucchi, a domenica ferulli, lucia uva e tantissimi altri che vorremmo si unissero a noi.

Vogliamo pubblici ministeri affamati di verità
Vogliamo giudici sereni, imparziali ma anche custodi del rispetto dell’immenso dolore dei familiari delle vittime.
Insomma vogliamo i giudici e i pubblici ministeri del processo Aldrovandi anche per gli altri.

Vogliamo che i parlamentari facciano gli straordinari per approvare la legge sulla tortura visto che l’Italia è l’unico Paese che si è rifiutato di farla nonostante l’articolo 13 della Costituzione che lo impone, e non per cancellare o nascondere le intercettazioni che mettono in imbarazzo buona parte dei loro colleghi.

Pertanto chiediamo il sostegno di tutti coloro che non hanno avuto giustizia dallo Stato o peggio sono stati uccisi.

Noi saremo davanti a Montecitorio quando inizierà la discussione di questa ennesima vergognosa legge ad personam in materia di giustizia.

sabato 30 luglio 2011

Il processo e' fermo.
Ci sono le ferie.
Sono stanca, arrabbiata, delusa.
Io rivoglio Stefano.
Rivoglio mio fratello. Rivoglio il suo sorriso, le sue pazzie, i suoi problemi, le sue angosce, rivoglio i suoi dolori ed i suoi tradimenti....
Rivoglio mio fratello e ed il figlio dei miei genitori.
Lo rivoglio e basta! Pacchetto completo di tutto!! Nel bene e nel male!
La Giustizia.
Ma quale giustizia? Ce l'ha portato via uccidendolo in modo atroce, lento, spietato ed inesorabile.
La giustizia lo ha ignorato. Giudice e pm non lo hanno nemmeno guardato in faccia.
Non ricordano, loro, ma noi si.
Albanese senza fissa dimora. Questo per loro era Stefano. Albanese senza fissa dimora.
Stava male e si è persino scusato.
Nessuno se ne è accorto, nessuno.
Nessuno ricorda, della giustizia, nessuno.
Pestato dentro il tribunale di Roma. Questa è la Giustizia.
Carcerato abbandonato al suo destino di sofferenze atroci ed in solitudine fino alla morte.
Ma il giudice della convalida d'arresto non ricorda e sbaglia al processo il giorno della nostra disperata richiesta di poterlo vedere.
Non ricorda il Giudice, non ricorda Stefano, non lo ricorda nemmeno il pubblico Ministero.
Stefano in Tribunale ha chiesto aiuto. E' stato ignorato, scambiato per albanese senza fissa dimora. Ucciso.
Cara signora Giustizia noi lo rivogliamo con tutti i suoi problemi, ma lo rivogliamo indietro!
Lei non aveva il diritto di trattarlo in quel modo, Lei che si vanta di essere giusta ed uguale per tutti, non ne aveva il diritto.
Ora abbiamo un processo dove tutti si occupano di lui. O fanno finta.
Ora abbiamo il processo.
Ma il ministro della Giustizia sa cosa vuol dire per noi "persone offese" questo processo?
Io mi chiedo... lo sa?!
Sa il signor Ministro quanto costa per noi questo processo?
Decine di udienze dove si discute degli "eritemi" sul viso martoriato di Stefano!?
Quando non vengono chiamati eritemi vengono definìti, nelle domande sempre uguali dei Giudici, "occhiaie". Lo sa il signor Ministro che non si possono fare domande agli specialisti chiamati per esprimersi sulle possibili complicanze delle fratture alla schiena subite da Stefano, che riguardino le valutazioni che espressero in quel momento? Quando mio fratello era vivo e poteva parlare? Non si può perché spetta ai signori consulenti del pm dire che Stefano Cucchi, su quel letto sofferente e morente, in realtà non aveva nulla se non modeste lesioni "lievi".
Lo sa il signor Ministro come ci sentiamo noi cittadini famigliari di fronte a questi mille cavilli che danno luogo più ad una rappresentazione teatrale che a quello che noi pensavamo essere un processo?!
Noi abbiamo visto partire Stefano Cucchi per il tribunale di Roma sano ed in perfette condizioni di salute e nel tribunale di Roma Stetano e' stato ucciso.
Questo noi sappiamo.
Lo sanno i famigliari tutti.
Lo sanno quelli che tutte le mattine lo vedevano correre.
Lo sanno quelli che lo hanno visto in palestra allenarsi fino all'ultimo giorno, quello dell'arresto.
Lo sa il barista del cappuccino di tutte le mattine.
Lo sa il benzinaio dove si fermava sempre.
Lo sa lo spacciatore che gli ha dato tutta quella droga che aveva.
Lo sa il prete che lo vedeva a messa tutte le mattine.
Lo sanno i carabinieri che lo hanno arrestato.
Lo sanno coloro che lo hanno pestato a morte.
Lo sanno tutti.
Solo al processo si fa finta di nulla.
Ora ci vogliono togliere pure questo bislacco ed irrispettoso processo.
Non bastava la legge che avrebbe vietato la pubblicazione di foto ed atti giudiziari, che ci avrebbe impedito di denunciare pubblicamente il caso terribile di Stefano.
Ora mi dicono che i difensori degli imputati potranno aggiungere migliaia di testimoni al processo obbligando i Giudici a distrarre la loro attenzione dagli eritemi ed occhiaie all' ascolto di tutti i testimoni a loro piacimento.
Il processo non avrà fine.estenuante e tutto a nostro carico
Io non voglio più questo terribile indegno processo, rivoglio da lei sig. Ministro la vita di mio fratello.
Se ne faccia carico perché e' la sua Giustizia che lo ha ucciso.
Altrimenti si abbia il coraggio di dire senza alcuna ipocrisia che e' giusto che sia morto perché la sua vita non valeva nulla .
Questo e' successo e questo e' ciò che ci viene riservato
Con rispetto
Ilaria cucchi

venerdì 3 dicembre 2010

Lettera di Lucia Uva

Lucia è la sorella di Giuseppe Uva, fermato il 14 giugno 2008 dai Carabinieri della caserma di Via Saffi, a Varese, e mai più tornato a casa. Lucia e i suoi cari lo hanno rivisto, morto e in condizioni terribili, nel reparto psichiatrico dell'ospedale Circolo Macchi dove era stato portato quattro ore dopo il fermo.

Beppe aveva quarantatre anni, una famiglia che lo amava, un amico che non si è mai rassegnato e tanti giorni ancora da vivere.

Il PM ha chiesto il rinvio a giudizio per due medici, di cui uno è stato assolto dal GUP mercoledì scorso. Ad aprile il processo per l'altro.

In tutto questo Lucia continua a chiedere perché suo fratello è finito in quell'ospedale e perché il suo corpo era ridotto nello stato in cui lei lo ha visto per l'ultima volta...

Lucia è una mia amica, le sono vicina e comprendo perfettamente il suo dolore, che è anche il mio. Conosco la profonda difficoltà ad andare avanti nella vita senza sapere tutta la verità su un lutto che così diventa ancora più complicato elaborare.


"Sono lucia uva ed ho partecipato all’udienza di ieri riportata sui quotidiani della città.

La procura ha sempre detto che i responsabili della morte di Giuseppe fossero i due medici indagati e soltanto loro, mentre erano da escludere altre responsabilità, dichiarando ai giornalisti di aver chiuso le indagini riguardo ciò che è avvenuto in caserma quella maledetta notte.

Il procuratore Grigo aveva infatti dichiarato a suo tempo alla stampa che era stato apposta aperto un procedimento per quello scopo.

In udienza il dott Abate ha dichiarato che su quel fascicolo era stata fatta richiesta di avocazione alla procura generale, però sbagliata perché quel procedimento non era più contro ignoti.

I miei avvocati in udienza hanno chiesto una perizia perché ritenevano quella di motta insufficiente per il processo.

Il dott abate si è opposto chiedendo il rinvio a giudizio dei due indagati sostenendo a spada tratta la bontà della consulenza Motta.

Il Giudice ha assolto addirittura uno dei due medici che il dott Abate ha sempre sostenuto di essere responsabili della morte di mio fratello.

Qualcuno mi può spiegare per favore perché la procura di varese è così soddisfatta della assoluzione di uno dei due indagati che riteneva colpevoli della morte di pino?

I miei avvocati mi hanno spiegato che il gup, quando assolve l’imputato nella udienza preliminare lo fa o perché ritiene le indagini assolutamente insufficienti per il processo, o perché addirittura perché pensa che ci sia la prova della sua innocenza.

La procura aveva richiesto il processo.

Che c’è da gioire?

Di quale processo parliamo?

Francamente mi sento presa in giro, non si tratta così una cittadina.

grazie"

martedì 23 novembre 2010

VIENI VIA CON ME

A "Vieni via con me" il mio elenco dei bei ricordi di Stefano:


1) Il suo sorriso, quando da bambino correva incontro a nostro padre di ritorno dal lavoro.


2) La sua dolcezza, quando non riuscivo a dormire perché avevo paura del buio e lui mi rassicurava.


3) La sua allegria contagiosa, che ti tirava su di morale e riusciva sempre a strapparti un sorriso.


4) La sua simpatia, che lo faceva essere amico di tutti e fare invidia a me, che ero sempre troppo timida.


5) La sua generosità, nell'aiutare sempre gli altri come poteva, anche quando era lui ad aver bisogno di aiuto.


6) La sua tenerezza, quando giocava con i miei figli e non doveva fingere di essere diverso o migliore.


7) Il suo altruismo, quando anche nei momenti più difficili per lui si preoccupava che io fossi serena.


8) Il suo abbraccio, forte, che racchiudeva tutte le parole che dalle nostre bocche non riuscivano ad uscire.


9) Il suo bisogno di famiglia, che lo portava a cercare tutte le occasioni per stare insieme, ricordare, festeggiare.


10) La sua voglia di farcela, quando con le lacrime agli occhi ma con orgoglio tornava in comunità e provava a riprendersi la sua vita.


11) Il suo amore, grande per la vita... che non avrebbe mai voluto lasciar andare.


... nel mio cuore però l'elenco conteneva un altro punto:


12) La sua gratitudine, che se Stefano fosse ancora qui sarebbe grande come la mia, a Patrizia Moretti. Se non fosse per Federico, per il coraggio della sua mamma e per il suo esempio, oggi non sarei qui a parlare di mio fratello.



domenica 21 novembre 2010

Gianfranco Fini
15/11/2010
Montecitorio, Sala del Mappamondo - Presentazione del libro "Vorrei dirti che non eri solo" di Ilaria Cucchi con Giovanni Bianconi

http://www.abuondiritto.it/index.php?option=com_content&view=article&id=372:qvorrei-dirti-che-non-eri-soloq-presentazione-alla-camera-dei-deputati-15-novembre-2010-&catid=37:rassegna-stampa&Itemid=71

Autorità, Signore e Signori!

La Camera dei deputati è lieta di ospitare la presentazione del libro 'Vorrei dirti che non eri solo' scritto da Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi, che saluto.

Un cordiale benvenuto agli autorevoli ospiti che interverranno: il sen. Luigi Manconi, presidente dell'associazione 'A Buon Diritto', ed Ezio Mauro, direttore del quotidiano ' La Repubblica '.

Prima di entrare nel merito della dolorosa vicenda di Stefano, voglio esprimere innanzitutto la mia umana vicinanza ai genitori - la signora Rita e il signor Giovanni - così profondamente colpiti da una tragedia che ha distrutto le loro vite e che ha scosso e commosso l'Italia intera.

Ed è proprio questo complesso insieme di fatti, sentimenti e sensazioni - nel quale la vicenda famigliare si è intrecciata a quella pubblica coinvolgendo uomini e Istituzioni - è proprio questa complessità, dicevo, che rende difficile parlare del 'caso Cucchi' senza rischiare di ferire ancora una volta la sua memoria e la sua famiglia, la fiducia dei cittadini verso le strutture dello Stato.

Quello di Stefano Cucchi, infatti, è un caso che, nel suo svilupparsi, passa da una dimensione privata a una dimensione pubblica, sociale. La sua storia, tra l'altro, ha messo in luce anche l'irrisolta questione del sovraffollamento del sistema carcerario italiano e delle drammatiche condizioni in cui vivono i detenuti: argomento sul quale il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, è intervenuto con forza. Né si può sottacere, con amara constatazione, che, quello relativo ai diritti dei detenuti, è un problema che riguarda non soltanto l'Italia, che sconta peraltro una pesante penuria di organico impegnato nelle carceri.

Quella di Stefano è innanzitutto una storia di diritti negati che si è consumata in appena una settimana.

Stefano è morto perché chi avrebbe potuto e dovuto garantire l'assistenza sanitaria evidentemente non lo ha fatto, come emerge dalla lettura della relazione svolta dalla Commissione parlamentare d'inchiesta sul sistema sanitario nazionale, presieduta dal sen. Ignazio Marino.

Leggendo le pagine del libro ripercorriamo la vicenda di Stefano, che soffriva e si debilitava in completa solitudine. Nessuno infatti ha provveduto ad avvisare il suo avvocato - come pure lui aveva richiesto - né ad avvisare i suoi genitori di cui riviviamo l'angoscia mentre si scontravano contro il muro di gomma di risposte negative, dilatorie ed evasive. Il dubbio terribile che agita le nostre coscienze è che, talvolta, chi rappresenta lo Stato non metta in atto nei confronti dei detenuti quei sistemi di garanzia che costituiscono un elemento fondamentale di ogni democrazia. Dobbiamo ricordare che il detenuto è per prima cosa un uomo.

Concordo con il Ministro della Giustizia, Angelino Alfano, che a suo tempo affermò: «Si doveva evitare che Stefano Cucchi morisse. Uno Stato democratico assicura alla giustizia e può privare della libertà chi delinque. Ma nessuno può essere privato del diritto alla salute».

Personalmente ritengo che chiunque, italiano o straniero, si trovi a essere in custodia dello Stato debba poter contare con certezza che i suoi diritti siano pienamente tutelati. Per questo, le fotografie di Stefano, diffuse dalla famiglia non senza molti travagli interiori, ci devono indurre a una dolorosa riflessione.

È bene precisare che Stefano non è morto perché era tossicodipendente. Il processo in corso stabilirà come sono andati i fatti e accerterà le responsabilità e dobbiamo confidare nella magistratura per ristabilire la giustizia e per evitare che vi possano essere delle macchie che infanghino i leali servitori dello Stato - la stragrande maggioranza - ai quali deve andare tutta la nostra gratitudine per il quotidiano impegno nella lotta alla criminalità, nella tutela dell'ordine pubblico e per la custodia, la cura e l'assistenza ai detenuti.

Ma ci sono anche altri aspetti che desidero sottolineare. Credo che le Istituzioni democratiche debbano essere sempre permeate da un forte senso di umanità che non può, in nessuna circostanza, venir meno. Da questo punto di vista, reputo inaccettabile, indegno di un Paese civile, che nessuno abbia ancora fatto ammenda per quella tragica notifica con la quale la mamma di Stefano apprese, solo incidentalmente, della morte del figlio mentre la stavano informando della volontà di procedere all'autopsia. È agghiacciante pensare che nessuno avvisò i famigliari dell'avvenuto decesso del giovane in modo adeguato, rispettoso del dramma dei genitori e della dignità di Stefano.

Non è questa l'unica parte del libro che mi ha dato la sensazione che un pericoloso processo di estraniazione emotiva stia minando la società, distruggendo un comune senso di appartenenza.

Un'atonia morale che si trasforma in egoismo e indifferenza verso gli altri, la loro dignità, la loro stessa esistenza.

È forse per questo che Ilaria Cucchi e Giovanni Bianconi non hanno raccontato 'solo' la via crucis di Stefano in carcere - di via crucis parlò in occasione del trigesimo il vescovo ausiliario di Roma monsignor Giuseppe Marciante - ma hanno voluto ripercorrere la storia della famiglia Cucchi, la storia di questi due fratelli - Ilaria e Stefano - seguendo anche le gioie della loro infanzia, i turbamenti dell'adolescenza, le scelte dell'età adulta.

Una sequenza di ritratti famigliari che non è casuale, né risponde a esigenze editoriali. Intervallare le vicende drammatiche con i flashback della normale vita famigliare significa umanizzare una tragedia che nel suo inizio, nel suo svolgimento e nel suo epilogo di umano ha avuto davvero ben poco, offendendo in noi quel sentimento di pietas che deve appartenere all'uomo ed è uno dei fondamenti indispensabili del vivere civile.

Il libro, tuttavia, è un libro che trasmette una speranza. Ilaria ha sin dall'inizio capito che per recuperare e restituire fiducia nelle Istituzioni era necessario ingaggiare una battaglia di verità. Affiancata dall'avv. Fabio Anselmo, che ha seguito anche i casi Aldrovandi e Uva, Ilaria ha compreso che soltanto superando quella iniziale ritrosia di fronte alle telecamere tipica delle persone normali avrebbe potuto combattere la guerra di 'Davide contro Golia'.

Ci è riuscita anche in virtù della sensibilità di alcuni parlamentari di tutte le forze politiche che le sono stati vicino sin dall'inizio. Soltanto grazie a questo impegno di Ilaria la battaglia per avere pace e restituire pace alla memoria di Stefano si è trasformata in un atto di fiducia nella giustizia e nella verità.

Perché senza giustizia non c'è libertà, né democrazia, la cui forza sta proprio nella capacità di riconoscere le proprie zone d'ombra e di illuminarle.

Ilaria, subito dopo la tragedia, fu anche tentata dall'idea di lasciare l'Italia: «Se questo è il Paese dove dovranno crescere i miei figli - diceva - meglio partire e costruire un futuro altrove».

Ma oggi Ilaria è qui con noi perché ha deciso di rimanere, non per cercare vendette ma risposte e decisioni che restituiscano dignità a Stefano e con lui a tutti noi.

Per questo le diciamo: grazie Ilaria per aver deciso di restare.